Layout del blog

Legge 3/2012 salva suicidi: cos’é e quali sono i costi da sostenere.

Avv. Debora Castellani • ott 18, 2022

La Legge n. 3/2012 (detta anti suicidi) consente di porre rimedio alle situazioni di Sovraindebitamento offrendo al debitore la possibilità di pagare a rate sia i creditori sia gli avvocati incaricati.

La Legge n. 3/2012 (detta anti suicidi) consente di porre rimedio alle situazioni di Sovraindebitamento offrendo al debitore la possibilità di pagare a rate sia i creditori sia gli avvocati incaricati.


Molto Spesso chi ha debiti, per ingenuità, per orgoglio o per vergogna, aspetta molto tempo prima di rivolgersi ad un professionista, con la speranza di risolvere in modo autonomo la propria situazione di crisi.


Purtroppo in questi casi l’unico modo per uscire dal vortice dei debiti è affrontare il problema, informarsi sulle possibili strade da intraprendere e chiedere aiuto ad un esperto del settore.


Se stai leggendo questo articolo probabilmente qualcuno ti ha parlato o ti ha consigliato di utilizzare la legge 3 /2012 per risolvere i tuoi problemi di debito/sovraindebitamento.


Nella speranza di farti apprendere nuovi contenuti e/o chiarirti i dubbi sull’argomento, oltre ad augurarti una buona lettura, ti invito a contattarmi per formulare eventuali domande.


SOMMARIO.


Legge 3/2012, Cos’è

Introduzione all’argomento;

Definizione;

A chi è rivolta;

I vantaggi

Le fasi della procedura.


I Costi

  • La nomina del Gestore;
  • Onorari dell’OCC
  • Compenso avvocato


Legge 3/2012, Cos’è


Introduzione all’argomento.

La Legge 3/2012 consente, alle persone fisiche, ai professionisti e agli imprenditori non fallibili che si trovano in stato di sovraindebitamento la possibilità di ridurre debiti.


Ad esempio un debito di € 30.000,00 può essere ridotto a metà (€ 15.000,00) e pagato a rate mensili di €200,00.


Supponendo, a fronte di uno stipendio di € 1.200,00, il contemporaneo rimborso di 5 finanziamenti e che ognuno di questi preveda una rata mensile di € 200,00 (per un esborso totale di € 1.000,00) e che - oltre alle suddette rate - debbano essere sostenuti ulteriori costi (canone di locazione, spese mediche, mantenimento ecc.) come è possibile pagare sia i debiti sia le spese per la sopravvivenza?


Scontata è la risposta: impossibile!


La legge salva suicidi permette al debitore di proporre un piano di ristrutturazione dei debiti pagando quello che effettivamente può pagare.


La procedura di sovraindebitamento, infatti, tiene conto dei costi per la sopravvivenza che, quindi, devono essere necessariamente garantiti a prescindere dall’entità del debito.


In altri termini, il piano di ristrutturazione dei debiti depositato in Tribunale è approvato solo se può assicurare la dignitosa sopravvivenza al debitore e a tutta la sua famiglia in quanto, oltre alla percentuale dovuta ai creditori, stabilisce l’entità dei costi destinati al sostentamento.


Definizione

L’art. 6, comma 2, lett. a) della Legge 3/2012 definisce il Sovraindebitamento come: “la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente”.


Il Sovraindebitamento non è altro che la condizione di coloro che non riescono a ripagare i propri debiti per insufficienza di risorse economiche disponibili.


Tale situazione può derivare da eventi imprevisti (es. perdita del posto di lavoro, motivi di salute) o dall’eccessivo e ingiustificato ricorso al credito.


È bene evidenziare che la “la legge salva suicidi” non è un rimedio a cui ricorrere ogni volta in cui il peso dei debiti diventa insostenibile poiché l’accesso è consentito solo a chi possiede determinati requisiti.


A chi è rivolta

L’ accesso alle procedure previste dalla Legge 3/2012 è consentito a tutti coloro che non rientrano nelle disposizioni previste dalla legge fallimentare. Nello specifico, i soggetti non fallibili (non soggetti né assoggettabili alla procedura fallimentare) sono:


- i consumatori, ossia i debitori civili che non esercitano attività di impresa (es. lavoratore, pensionato, disoccupato);


- imprenditori commerciali non fallibili per mancanza di requisiti (imprenditori sotto soglia: attivo patrimoniale <=300.000 + ricavi <=200.000 + debiti <= 500.00) nei tre esercizi precedenti l’istanza di fallimento;


- enti non commerciali;

- imprenditori agricoli;

- lavoratori autonomi e associazioni professionali;

- start up innovative di cui all’art. 31, D.L. n. 179/2012.


I vantaggi

Il debitore può ottenere una riduzione dei debiti con possibilità di pagarli nel tempo attraverso un’unica rata mensile.


In altre parole, anziché pagare più rate, ognuna delle quali è destinata al rimborso di un singolo creditore, il debitore in difficoltà può vedersi riconosciuto il diritto di unire tutte le anzidette rate in un’unica “uscita mensile”.


Questo risultato è ottenuto attraverso la diminuzione degli importi delle singole esposizioni debitorie (laddove possibile) e stabilendo la percentuale di reddito da utilizzare per il sostentamento del debitore e della sua famiglia.


Attraverso la legge 3/2012 è inoltre possibile sospendere le azioni esecutive (pignoramento dello stipendio/pensione, aste immobiliari) e bloccare le trattenute derivanti dalle cessioni volontarie.


Per ottenere questi benefici occorre dimostrare di essere un debitore incolpevole.


Con estrema semplificazione del concetto di “meritevolezza” si può dire che il debitore ha il diritto di accedere ai vantaggi offerti dalla procedura solo dimostrando che nel momento in cui richiedeva un finanziamento era perfettamente in grado di poterlo onorare e che, solo successivamente e a causa di eventi imprevisti, come la perdita del posto di lavoro o la riduzione dello stipendio, veniva costretto all’ interruzione dei pagamenti.


Chiaramente sono esclusi dalla procedura tutti coloro che, volontariamente e senza giustificato motivo, hanno creato la situazione di sovraindebitamento.


Le fasi della procedura


Le fasi della procedura possono essere così suddivise:


  • Raccolta dei documenti: per valutare se il debitore possa accedere alla procedura e se il piano di ristrutturazione dei debiti proposto sia fattibile occorre ricostruire la “storia del debito” descrivendo dettagliatamente i fatti e i motivi che hanno condotto il debitore allo stato di sovraindebitamento. A tal fine, oltre alla raccolta dei contratti, di eventuali atti giudiziari notificati e delle carte comprovanti le spese sostenute è necessario fornire informazioni dettagliate riguardo la situazione familiare, i redditi percepiti e i beni di proprietà.
  • Predisposizione di un piano: la legge 3/2012 prevede differenti procedure, quindi, per prima cosa è necessario affidarsi ad un esperto del settore per un consiglio sulla strategia più adatta al caso concreto. Ovviamente la via per ottenere maggiori vantaggi può essere individuata solo all’esito di un’accurata analisi dei documenti raccolti;
  • Nomina del Gestore: il debitore, anche autonomamente, può richiedere all’Organismo di Composizione della Crisi la nomina del Gestore. Solo nella fase successiva è necessaria l’assistenza di un Avvocato. Nonostante ciò è consigliabile, per via della complessità della procedura, rivolgersi, fin dall’inizio, ad un legale esperto in materia.
  • Deposito del Piano in Tribunale: A seguito della verifica, da parte del Gestore nominato, della sussistenza dei requisiti di legge e della sostenibilità della procedura, il piano viene trasmesso al Tribunale per la valutazione del Giudice.


I costi


La nomina del Gestore

Per accedere alla procedura è necessaria la nomina di un Gestore della Crisi da Sovraindebitamento.


La nomina può essere richiesta con due modalità differenti:


  • Con il deposito di un’apposita istanza alla Cancelleria della Volontaria Giurisdizione del Tribunale competente. In questo caso i costi previsti sono limitati al pagamento di un contributo unificato pari a € 98,00 e di una marca da bollo di € 27,00. Tale modalità di nomina, ad oggi è un’ipotesi residuale, infatti, laddove all’interno del Tribunale sia stato costituito un Organismo occorre rivolgersi a quest’ultimo.
  • Direttamente all’Organismo di Composizione della Crisi da Sovraindebitamento. Solitamente l’Organismo ha la propria sede presso l’Ordine degli Avvocati o dei Commercialisti del luogo di residenza del debitore. In tale ipotesi è l’Organismo stesso a provvede a nominare, tra i professionisti che ne fanno parte, chi svolgerà la funzione di Gestore e i costi si aggirano intorno a € 200,00.


Onorari dell’OCC


L’onorario dell’Organismo di Composizione della Crisi varia a seconda del caso presentato poiché viene calcolato su una percentuale dell’attivo (ad es. redditi, beni di proprietà, quote societarie) e una percentuale del passivo (i debiti), oltre le spese generali.


I criteri per la determinazione sono stabiliti dal Decreto Ministeriale n. 202 del 2014 che all’art. 15 prevede la possibilità di acconti sul compenso finale.


È possibile, tuttavia, concordare nella fase iniziale i compensi dovuti e distribuire gli stessi all’interno del piano.


In altri termini, talvolta, anziché corrispondere un acconto per iniziare la procedura - a prescindere dall’esito, positivo o negativo, della stessa - con le opportune accortezze, il difensore del debitore e l’OCC stabiliscono che l’onorario del Gestore sia percepito solo in prededuzione.


In quest’ultima ipotesi si viene a determinare una sorta di compenso sul risultato raggiunto.


Compenso avvocato


Il compenso dell’avvocato invece, è determinato sulla base dei parametri previsti dal d.m. n. 55 del 2014 che all’art 19 stabilisce che “ai fini della liquidazione del compenso si tiene conto delle caratteristiche, dell’urgenza, del pregio dell’attività prestata, dell’importanza dell’opera, della natura, della difficoltà e del valore dell’affare, della quantità e qualità delle attività compiute, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e in fatto trattate“


Ovviamente in base alla complessità del caso sarà previsto un differente onorario, tuttavia, ai fini della determinazione dello stesso si tiene conto anche dell’art 21 d.m. n. 55 del 2014 il quale prevede che “Per l’assistenza in procedure concorsuali giudiziali e stragiudiziali si ha riguardo all’entità del passivo del cliente debitore”.


Come per il Gestore, anche l’onorario dell’Avvocato di fiducia può essere “spalmato” all’interno del piano di ristrutturazione dei debiti.


In ogni caso è consigliabile concordare in anticipo e per iscritto tutti i costi prima di intraprendere la procedura.


In conclusione, legge n. 3/2012 è una procedura complessa che, a determinate condizioni, consente di superare lo stato di sovraindebitamento.


L’aiuto di un professionista esperto è fondamentale per valutare se la “legge salvasuicidi” sia lo strumento adatto a risolvere il problema, poiché in assenza dei requisiti di legge le proposte presentate non verranno accolte.


È bene precisare, inoltre, che oltre ai costi anche i tempi sono variabili e che lo spirito collaborativo o meno del debitore potrebbe fare la differenza.


Avv. Debora Castellani

Autore: Debora Castellani 20 giu, 2023
Assegnazione casa coniugale
Autore: Debora Castellani 20 giu, 2023
Quando non è dovuto il mantenimento figli?
Autore: Debora Castellani 20 giu, 2023
Le principali novità introdotte dalla legge Cartabia in materia di separazione e divorzio
Autore: Avv. Debora Castellani 18 ott, 2022
Si sa, per la maggior parte degli italiani la propria casa rappresenta un rifugio dal mondo esterno, il centro dei propri progetti di vita e, talvolta, un investimento per mettere al riparo i risparmi dall’erosione del tempo. L’interesse rivolto all’acquisto della proprietà immobiliare investe aspetti economici, culturali e psicologici che vengono drasticamente messi in discussione con la notifica di un atto di pignoramento immobiliare. Cos’è il pignoramento immobiliare Il pignoramento immobiliare è lo strumento utilizzato dal creditore per recuperare il proprio credito tramite il ricavato ottenuto dalla vendita all’asta di diritti reali immobiliari. In altri termini, il pignoramento ha lo scopo di assicurare lo stesso risultato che il titolare del diritto di credito otterrebbe in caso di adempimento spontaneo dell’obbligato, sottraendo coattivamente beni compresi nel patrimonio debitorio trasformandoli in denaro. La procedura di esecuzione comincia con la notifica dell’atto di Precetto. Effettuata questa notifica il creditore avrà 90 giorni per notificare il pignoramento immobiliare nel quale devono essere indicati tutti gli estremi idonei a identificare in maniera univoca il bene che si intende pignorare. Successivamente, l’atto di pignoramento va trascritto presso la Conservatoria dei registri immobiliari e depositato presso il Tribunale competente. Da questo momento inizia la vera e propria procedura di pignoramento che, talvolta, può essere sospesa o bloccata definitivamente. Pignoramento immobiliare: come bloccare l’asta Come può essere sospeso o bloccato il pignoramento? Esistono vari metodi da applicare a seconda delle situazioni, alcuni dei quali sono di seguito elencati: 1. Pagamento integrale del debito; 2. Applicazione della legge 3/2012, meglio conosciuta come legge salva suicidi; 3. Accordo transattivo con il creditore; 4. Opposizione del pignoramento in Tribunale. Ognuna delle ipotesi sopra citate deve essere analizzata in base al caso concreto, in quanto, non tutte sono sempre percorribili, ovviamente il pagamento integrale del debito può essere effettuato solo se il debitore riesca a recuperare, prima della vendita all’asta, la liquidità necessaria per saldare definitivamente quanto dovuto. Convinzione diffusa e, al contempo errata, è l’impignorabilità della prima casa. È bene chiarire che nei casi in cui il creditore sia il fisco la legge prevede dei limiti e, quindi - in presenza di alcune condizioni - la prima casa non può essere pignorata. Diversamente, il divieto di pignoramento della prima casa non sussiste in tutte le ipotesi in cui il creditore non è l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, ed infatti, quando il creditore è un soggetto privato, è ammesso anche il pignoramento della prima casa a prescindere dall’entità del debito.
Autore: Avv. Debora Castellani 18 ott, 2022
Non riesci più a far fronte al pagamento delle rate del mutuo e/o prestito? Hai problemi con il fisco? Le società di recupero crediti ti chiamano in continuazione? Prosegui con la lettura di questo articolo per verificare se hai i requisiti per accedere alla procedura di sovraindebitamento. Ogni giorno cresce il numero delle famiglie che si trovano, purtroppo, a fronteggiare drammatiche situazioni economiche a causa dell’accumulo dei debiti. Talvolta i prestiti vengono richiesti con “leggerezza” senza valutare le reali possibilità di rientro del debito, ma spesso accade che situazioni impreviste come la perdita di lavoro, spese sanitarie o eventi straordinari rendano inevitabile il ricorso al credito. Con il tempo si viene a creare un meccanismo a catena tale per cui per pagare un debito, richiesto in un momento di difficoltà - la cui rata pesa sul budget familiare insieme a tutte le altre spese – si ricorra alla consulenza dei funzionari di banche e finanziarie per ottenere ulteriore liquidità. Come è possibile interrompere questa rincorsa al credito e conseguente sovraindebitamento? La soluzione a tale problema potrebbe essere la legge n. 3/2012, chiamata anche legge anti suicidi, la quale consente - a determinate condizioni - di ridurre gli importi dei debiti e di pagarli a rate. Al fine di spiegare in modo sintetico i contenuti essenziali di questa procedura partiamo dalla nozione di sovraindebitamento fornita dall’art. 6, II comma, della legge 3/2012 secondo il quale “si intende per sovraindebitamento la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile, che determina la rilevante difficoltà ad adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempiere regolarmente”. Sostanzialmente la nozione è formata da 5 componenti: 1) perdurante squilibrio: le voci passive del patrimonio sono maggiori di quelle attive e tale squilibrio dura da tempo ed è destinato a durare nel tempo; 2) obbligazioni assunte: passività correnti, cioè i debiti contratti scaduti o in scadenza; 3) patrimonio prontamente liquidabile: non si intende tutto il patrimonio esistente o disponibile, ma solamente quello prontamente liquidabile ossia monetizzabile in breve tempo. La variabile temporale viene valutata caso per caso; 4) la rilevante difficoltà ad adempiere le proprie obbligazioni: il legislatore si riferisce alla situazione in cui il debitore riesce ad adempiere le proprie obbligazioni ma con difficoltà rilevante; 5) definitiva incapacità di adempiere regolarmente: si intende uno stato di insolvenza irreversibile definito dall’ art. 5 della legge fallimentare secondo il quale “Lo stato d'insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”. Il sovraindebitamento non è sufficiente a consentire l’accesso alle procedure previste dalla cosiddetta “legge salva suicidi”, ma è necessario che le cause che lo hanno generato siano impreviste ed imprevedibili. Infatti, il debitore può essere ammesso alla procedura solamente se non ha concorso colposamente a determinare lo stato di crisi e, quindi, è necessario provare che, nel momento in cui sono stati assunti i debiti, il contraente aveva la prospettiva di poterli pagare. L’ammissione alla procedura non è consentito a chiunque, ma solamente ai seguenti soggetti: - il consumatore: la cui definizione è espressa dall’art. 6, comma II, lett. b) della L. 3/2012, come il debitore, persona fisica, che ha assunto le obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta; - soggetti non fallibili: tutti gli altri debitori individuati tra quelli che intendono porre rimedio alla crisi di sovraindebitamento che non sono soggetti o assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle previste dalla L.3/2012 (es. imprenditore agricolo, il professionista, l’artista ecc.). Oltre ai predetti requisiti oggettivi e soggettivi, al fine accedere alla procedura da sovraindebitamento occorre verificare l’assenza di cause di inammissibilità, ed in particolare: - il proponente non deve essere soggetto a procedura concorsuale diversa; - non è possibile accedere alla procedura di sovraindebitamento se il debitore ha già fatto ricorso alla stessa nel quinquennio precedente; - non è ammesso il ricorso alla procedura se il debitore ha subito per cause non imputabili impugnazione, risoluzione dell’accordo o revoca o cessazione degli effetti dell’omologazione; - la domanda è inammissibile se l’istante ha fornito documentazione incompleta o comunque non sufficiente a ricostruire la situazione economico-patrimoniale. Ebbene, una volta verificata la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi e l’assenza di cause di inammissibilità occorre identificare la procedura da seguire nel caso concreto, poiché, la legge 3/2012 distingue le tre ipotesi di seguito elencate: 1) Piano del consumatore: si rivolge esclusivamente ai consumatori ossia alle persone fisiche che abbiano contratto debiti per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Il piano non è altro che una proposta - rivolta a tutti i creditori - di riduzione degli importi dovuti e delle modalità di pagamento degli stessi. La peculiarità di tale procedura è il controllo della cosiddetta “meritevolezza”, infatti, il Giudice, per procedere all’omologa, deve escludere che il consumatore abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che non abbia colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali; 2) Accordo di ristrutturazione dei debiti: a differenza del piano del consumatore può essere presentato da enti e imprese non fallibili. Anche in questo caso l’istante formula una proposta di ristrutturazione dei debiti la quale però, affinché abbia esito positivo, deve essere accettata da tanti creditori che rappresentino almeno il 60% di tutti i debiti. Per quanto riguarda caratteristiche e/o requisiti per certi versi l’accordo è molto simile al piano del consumatore. 3) Liquidazione del patrimonio: con tale procedura il debitore (consumatore o soggetto non fallibile) mette a disposizione tutto il suo patrimonio per far fronte al pagamento dei suoi debiti. I creditori saranno soddisfatti dal ricavato della vendita dei beni. Infine, occorre precisare che la normativa del sovraindebitamento sopraesposta (in grandi linee) è stata recentemente modificata ed inserita nel codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, la cui entrata in vigore, inizialmente prevista per il 15 agosto 2020 (ovvero decorsi 18 mesi dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale), è stata differita al 1° settembre 2021 dal decreto-legge n. 23 del 2020.
Autore: Avv. Debora Castellani 18 ott, 2022
L’Avviso di Accertamento è l’atto con cui l’Amministrazione Finanziaria rende nota al contribuente la violazione di norme fiscali tramite la notifica di un atto contenente la misura dell’obbligazione tributaria per il periodo accertato. Norme giuridiche e informazioni legali
Autore: Avv. Debora Castellani 18 ott, 2022
Carattere principale della fideiussione è l’accessorietà, nel senso che esiste una correlazione tra rapporto fideiussorio e rapporto principale per cui il primo segue le sorti del secondo. L’obbligo assunto dal fideiussore, infatti, coincide con quello assunto dal debitore principale e le modificazioni del debito principale si riflettono sull’obbligazione del garante
Autore: Avv. Debora Castellani 18 ott, 2022
Non è sufficiente appartenere alla categoria delle persone fisiche ma, chi vuole beneficiare della normativa dedicata al debitore incapiente, deve dimostrare di essere meritevole e, dunque, di non aver contratto le obbligazioni senza la ragionevole previsione di poterle adempiere.
Autore: Avv. Debora castellani 18 ott, 2022
LA RINEGOZIAZIONE DEI MUTUI PREVISTA DAL DECRETO SOSTEGNI L’art. 40 ter della Legge n. 69/2021 (di conversione del D.L. n. 41/2021, c.d. “Decreto Sostegni”) ha introdotto una normativa “speciale” sulla rinegoziazione di mutui ipotecari per l’acquisto di beni immobili destinati ad abitazione principale ed oggetto di procedure esecutive, con l’intento esplicito di fronteggiare in via eccezionale, temporanea e non ripetibile i casi più gravi di crisi economica dei consumatori. In particolare il debitore, al ricorrere di determinate condizioni, può formulare richiesta di rinegoziazione del mutuo in essere ovvero richiesta di rifinanziamento, con surroga nella garanzia ipotecaria esistente, ad un terzo finanziatore (banca, intermediario di cui all’art. 106 del D.Lgs. n. 385/1993 o società di cui all’art. 3 della Legge n. 130/1999), il cui ricavato deve essere utilizzato per estinguere il mutuo in essere. Le condizioni che consentono di esercitare il diritto alla rinegoziazione sono le seguenti: il debitore deve essere un consumatore; il creditore deve essere una banca, una società per la cartolarizzazione dei crediti o un intermediario finanziario autorizzato; il credito deve essere ipotecario di primo grado e deve gravare su un immobile adibito ad abitazione principale del debitore e quest’ultimo abbia rimborsato almeno il 5% della quota capitale; deve pendere una procedura esecutiva immobiliare sul bene, il cui atto di pignoramento sia stato notificato entro il 21/03/2021; l’istanza può essere presentata una sola volta e, comunque, entro il 31/12/2022; il credito complessivo, comprensivo di spese di pignoramento e di interessi, non deve superare € 250.000,00; l’importo offerto: 1) se l’immobile è già all’asta, deve essere pari al prezzo base dell’asta ridotto del 25%; 2) se l’immobile è stimato ma non si è ancora tenuta la prima asta, è quello di stima; 3) nel caso in cui il debito residuo sia inferiore al valore dell’immobile anche con la riduzione del 25%, va offerto l’intero importo del debito residuo comprensivo di spese di pignoramento e di interessi; il nuovo mutuo derivante dalla rinegoziazione non deve essere inferiore a 10 anni né superare i 30 anni o gli ottanta anni d’età del debitore. La sola richiesta di finanziamento, sussistendone i presupposti poc’anzi esaminati, può essere formulata anche da soggetti diversi dal debitore, quali il coniuge, la parte dell’unione civile, il convivente di fatto, oltre ai parenti ed affini fino al terzo grado del debitore medesimo. Spetta al creditore verificare che ci sia, in primo luogo, il rispetto delle condizioni di legge, per poi procedere con la “valutazione del merito di credito nel rispetto di quanto previsto nella disciplina di vigilanza prudenziale ad esso applicabile … e previa verifica con esito positivo del merito creditizio del debitore ovvero … del destinatario del finanziamento”. Si ritiene che i criteri valutativi del merito creditizio debbano essere gli stessi che avrebbero riguardato un terzo che avesse chiesto un mutuo per i medesimi importi, senza tenere conto del mutuo non adempiuto e della relativa iscrizione in Criff. Il prudente apprezzamento dovrà verificare le capacità reddituali del debitore rispetto alla rata prevista ed alle proprie condizioni familiari. La rinegoziazione ed i finanziamenti derivanti dalla nuova normativa possono essere assistiti dalla garanzia a prima richiesta rilasciata al Fondo di garanzia per la prima casa, concessa nella misura del 50% delle somme dovute a seguito degli accordi. L’istanza può essere proposta nei termini di cui all’art. 624 bis, primo comma, secondo periodo c.p.c. ed il Giudice dell’Esecuzione, sentiti tutti i creditori muniti di titolo esecutivo, può sospendere il processo fino a sei mesi.
Autore: Avv. Debora Castellani 18 ott, 2022
Hai garantito un prestito e temi che la banca possa attivare i pignoramenti? Verifica se la tua fideiussione è ormai estinta. Sommario - Che cos’è una fideiussione; - Perché negli ultimi anni la fideiussione è stata protagonista di numerosi contenziosi; - I diversi orientamenti; - L’orientamento prevalente. Nullità parziale dei contratti di fideiussione omnibus. Che cos’è una fideiussione Come è noto, la fideiussione è una garanzia personale e rappresenta una tutela maggiore per il creditore in caso di inadempienza del debitore principale. Il fideiussore si impegna, infatti, a rimborsare una determinata somma in caso di inadempimento del debitore originario. Dunque, se il debitore principale (chi ha richiesto il prestito) non pagherà le rate, la banca potrà chiedere il rimborso al fideiussore (chi ha garantito la restituzione degli importi erogati dall’istituto di credito). Il garante, al fine di conoscere i limiti dei suoi obblighi, deve prestare particolare attenzione al tipo di contratto che si accinge a firmare e, in particolare, se sta sottoscrivendo una fideiussione omnibus. La fideiussione omnibus impone al fideiussore il pagamento di tutti i debiti presenti e futuri che il debitore principale ha assunto o, peggio ancora, assumerà nei confronti del creditore in dipendenza di qualsiasi operazione. La fideiussione omnibus, quindi, si differenzia rispetto alla fideiussione ordinaria per il fatto che la garanzia non è limitata ad un certo debito (ad esempio a uno specifico prestito ricevuto dall’istituto di credito) ma garantisce il pagamento di tutti i debiti assunti o che si assumeranno con la banca, per qualsiasi operazione bancaria, presente o futura. Perché negli ultimi anni la fideiussione è stata protagonista di numerosi contenziosi La questione trae origine dal provvedimento n. 55 del 2.5.2005 emesso dalla Banca d’Italia in funzione di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi con il quale veniva denunziato il contrasto tra lo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI e l’art. 2 della legge n. 287/1990 (la legge Antitrust). La Banca d’Italia, quindi, rilevata la contrarietà del suddetto schema contrattuale alla normativa antitrust invitava l’ABI a modificarne il contenuto, evidenziando, in particolar modo, che alcune clausole ponevano in capo ai fideiussori obblighi non previsti dalla disciplina codicistica della fideiussione, che avrebbero potuto avere effetti anticoncorrenziali in caso di loro adozione generalizzata da parte delle banche. In particolare, gli articoli 2,6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI contengono delle disposizioni che, nella misura in cui vengono applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’art. 2, comma 2, lettera a) della legge Antitrust. Nonostante il predetto provvedimento, diverse banche hanno continuato a sottoporre alla clientela la modulistica contenente le clausole “incriminate”, determinando la nascita di un consistente contenzioso giurisprudenziale sulla validità o meno delle garanzie bancarie riproduttive delle medesime clausole anticoncorrenziali. I diversi orientamenti Nel corso degli anni le azioni contro le banche volte a dimostrare che la diffusione dello stesso schema contrattuale (eccessivamente gravoso per il garante) lede la tutela della concorrenza hanno dato vita a differenti filoni interpretativi riguardo la validità delle fideiussioni. Semplificando la complessa questione possono distinguersi tre orientamenti. 1) Un primo filone interpretativo propende per la validità della fideiussione bancaria omnibus, riconoscendo al consumatore il solo rimedio risarcitorio. Tale orientamento fa leva sulla portata letterale dell’art. 2, terzo comma, L. 287/90 secondo cui “le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”. Quest’ultima disposizione normativa, infatti, facendo espresso riferimento alle sole intese, non può applicarsi ai contratti a valle. I fautori del presente orientamento osservano che ciò che emerge, nel rapporto tra intesa a monte e fideiussione a valle, è la mancanza di una libertà di determinazione e di scelta da parte del cliente della banca, il quale, stante il generalizzato recepimento dello schema ABI, si vede “imposto” un modello contrattuale che non gli consente alternative. 2) Un altro filone interpretativo, all’opposto ha affermato la nullità assoluta della fideiussione bancaria omnibus perché produttiva di un’intesa anticoncorrenziale. Questo filone interpretativo si scinde in altri sotto indirizzi, a seconda che la nullità assoluta della fideiussione bancaria sia giustificata per la nullità dell’intesa a monte (invalidità derivata) o per vizi propri del negozio fideiussorio (invalidità diretta). - Il primo sotto orientamento: muove dall’idea che tra l’Intesa a monte e la fideiussione a valle vi sia un collegamento negoziale tale per cui la nullità prevista per la prima si propaghi anche per la seconda in ossequio al principio simul stabunt simul cadent. I fautori di tale orientamento ritengono che l’art. 2, terzo comma, L. 287/90 non colpisce solo l’intesa in quanto tale, ma ogni altro atto a questo collegato, idoneo a pregiudicare la disciplina antitrust. - Il secondo sotto orientamento: parte dal presupposto che l’intesa a monte e la fideiussione a valle sono contratti diversi, privi sia dei requisiti di collegamento negoziale e quindi la nullità della fideiussione bancaria omnibus è giustificata per vizi propri come ad esempio l’illiceità della causa perché il contratto di fideiussione persegue una finalità anticoncorrenziale 3) Un terzo filone propende per la nullità parziale della fideiussione di seguito approfondito. L’orientamento prevalente: nullità parziale dei contratti di fideiussione omnibus L’ultimo e prevalente orientamento, pur condividendo il rimedio della nullità, precisa che la stessa non sia totale ma parziale ai sensi dell’art. 1419 c.c., perciò vanno eliminate solamente le clausole riproduttive dell’intesa anticoncorrenziale (gli articoli 2,6, e 8 del modello ABI del 2003). A dirimere il dibattito tra i vari filoni interpretativi sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione affermando che “i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli arttt. 2, comma 2, lett a) della legge n. 287 del 1990 e 101 del Trattati sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge succitata e dell’art. 1419 cod. civ, in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dai contratti, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti”. Una delle clausole dichiarate espressamente nulle dalla Suprema Corte comporta la rinuncia all’applicazione dell’art. 1957 c.c. il quale prevede la liberazione del fideiussore se il creditore, entro 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale, non ha agito nei confronti del debitore. Quindi, il fideiussore rimane obbligato, anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, solo se il creditore abbia proposto le sue istanze contro il debitore entro 6 mesi; conseguentemente il fideiussore sarà liberato da ogni obbligo nei confronti della banca se il suddetto termine non fosse stato rispettato. In conclusione il fideiussore che riceve una ingiunzione di pagamento e/o un pignoramento può eccepire la nullità parziale della fideiussione se il creditore, entro 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale, non ha preteso le somme dovute direttamente dal debitore principale. Conseguentemente, la banca che non prova di essersi rivolta, nei termini previsti dalla legge, al soggetto che ha ottenuto l’erogazione del credito, non potrà agire contro il garante perché l’obbligazione fideiussoria si è estinta.
Share by: